23 Set Consonno, storia del paese che non c'è
“Talvolta la realtà supera di gran lunga la fantasia, è proprio il caso di dirlo. Questa è la storia di un paese fantasma, non di quelli da racconti del brivido, anche se il folklore popolare potrebbe tesserne facilmente la trama trasformandola in leggenda o fiaba macabra. Questa è la storia di un posto insolito, curioso, forse un po’ inquietante, ma del tutto vero. Questa è la storia di Consonno, frazione di Olginate in provincia di Lecco, che fu “Paese dei balocchi” e che, in un battito di ciglia, si trasformò in paese fantasma”.
Tratto da InEuropa del 10 agosto 2009
Con questo incipit, un paio d’anni fa, iniziavo un articolo su Consonno, frazione di Olginate in provincia di Lecco, che negli anni Sessanta fu oggetto di sconsiderate speculazioni edilizie che ne trasformarono irrimediabilmente il volto. Oggi quel che resta è lasciato in balìa del tempo, dei vandali e del degrado, con progetti di riqualificazione che non sembrano dover mai partire.
Consonno era, e non è più.
Consonno era un delizioso borgo medievale, buttato giù dalla stupidità umana a suon di denaro, gru, escavatori e bulldozer. Al suo posto nacque un luogo di divertimenti che qualcuno chiamò il “Paese dei Balocchi”, fatto di casinò, ristoranti, hotel, nani e ballerine (si direbbe oggi).
La nuova struttura, secondo il Conte Bagno, artefice di questo “illuminato” progetto, avrebbe dato centinaia di posti di lavoro e un impulso economico dirompente a tutta la zona.
Lo chiamavano il Paese dei Balocchi, Consonno.
Mai nome fu più adatto a descrivere il vacuo progetto di ricchezza del Conte Bagno, mai immagine fiabesca fu più profetica nel descrivere quello che sarebbe successo.
A nulla erano servite le proteste della popolazione, nè le accuse di danno paesaggistico-ambientale, nè le prove di rischio idrogeologico per fermare la nascita del Paese dei Balocchi. Il borgo fu buttato giù.
Così come nella fiaba di Collodi i fanciulli si svegliarono asini dopo cinque mesi di follie, anche Consonno si svegliò trasformata dopo che una frana la isolò per sempre. Non più feste, balli e bel mondo. L’età dell’oro, del paese della Cuccagna, era ormai tristemente finita e la natura si era ripresa quello che l’uomo le aveva tolto.
Consonno era là allora, come lo è adesso. Il borgo, quello piccolo, bello e poetico, non c’è più. Al suo posto possiamo vedere gli scheletri di quell’onniponte senso di grandezza che, da sempre, alimenta la presunzione dell’uomo.
Quella presunzione che la natura non gli perdona.
Per approfondire leggi la mia inchiesta su Consonno. Vai anche qui, per vedere il degrado di Consonno oggi.