I seducenti profumi del vino

I seducenti profumi del vino

Quando abbiamo iniziato questo viaggio sensoriale nel mondo del vino, vi ho spiegato brevemente come affrontare le prime due fasi di analisi: quella visiva e quella olfattiva. Su quest’ultima è necessario un approfondimento perchè, come ho già avuto modo di dirvi, l’essere umano si è disabituato totalmente al riconoscimento degli odori, privilegiando la sfera visiva nella scelta di ciò che considera “buono”, quindi meritevole di essere acquistato e mangiato, e ciò che è considerato “cattivo”, quindi nocivo o inadatto per l’organismo.

Tutti noi andiamo al supermercato scegliendo, per fare un esempio, la pesca “perfetta” alla vista: bel colore, nessuna ammaccatura, grandezza ideale. Poi la mangiamo e ci accorgiamo che non sa di niente! Se fossimo ancora costretti a procacciarci del cibo in natura, come facevano i nostri avi del paleolitico, o come fanno ancora certe tribù, saremmo costretti a fare i conti con ciò che è “bellissimo”, ma “fatale” per la nostra vita e con ciò che è “brutto”, ma “buono”.

Nella società dell’immagine, dunque, dobbiamo riacquistare il nostro olfatto. Quando anni fa andai all’Istituto Ciechi di Milano per la mostra-percorso permanente “Dialogo al buio“, ebbi la riprova di quanto l’olfatto fosse stato sovrastato, nella vita di tutti i giorni, dalla vista e dall’udito. Si tratta di un percorso al buio nel quale sono stati ricreati ambienti di realtà quotidiana come una casa, un parco, una strada trafficata e un bar. In pochi minuti la guida non vedente che ci accompagnava divenne la nostra unica ancora di salvezza in un mondo che ci parve subito ostile, nero come la pece e inquinato da mille rumori frastornanti. L’esperienza, per me, ebbe un valore enorme. Finalmente capivo come ci si sentisse senza la vista e quanto certi sensi si fossero atrofizzati. Ricordo che, giunti in una delle sale, la nostra guida ci fece annusare della frutta e della verdura, senza farcela toccare. Ebbene, non ne riconobbi nessuna, fino a quando, potendola sentire con il tatto, arrivai a capire che si trattava di qualche banana, degli agrumi e, forse, di una rapa. Se vi capita, dunque, vi consiglio quest’esperienza che, nel buio profondo del giorno, sarà estremamente illuminante. 🙂

Questo ampio preambolo apre le porte ai profumi del vino, una miriade di sensazioni conferite da sostanze chimiche, alcune delle quali capaci di liberarsi durante la degustazione, che richiamano alla memoria gli aromi di frutta, di fiori e di spezie solo per fare qualche esempio.

I profumi floreali, a mio avviso, sono assieme quelli più semplici e complicati da individuare, soprattutto se come me vivete in città e ne acquistate (o vene regalano 🙁 ) di rado. Riconosco molto bene la rosa, talvolta appassita, di certi vini rossi evoluti, molto spesso la violetta in certi vini rossi giovani, oppure il gelsomino e la camomilla, in certi bianchi semi-aromatici. L’altra sera, per esempio, ho degustato una Rebula (Ribolla) del 2008 del produttore biodinamico Movia che aveva un profumo fortissimo di camomilla che, dopo poco, ha lasciato il posto ad un bouquet evoluto di canditi e mentolo. Questo per dirvi come certi vini, con l’ossigenazione e l’aumento di temperatura, siano in grado di evolvere, lasciando il floreale sullo sfondo di profumi ben più complessi. 

I profumi fruttati sono più facili per il mio naso. Da quando ho iniziato il primo corso AIS, ho ricominciato ad annusare tutta la frutta che acquisto, mettendola al naso e comparandola, talvolta, con i bouquet di certi vini complessi. Il Sauvignon Blanc della Nuova Zelanda, per esempio, ha un profumo di pompelmo, il Gewurztraminer di litchi, certi Chardonnay di banana, certe Malvasie rosse di fragolina di bosco, certi Condrieu di albicocca e potremmo andare avanti.

 

 

I profumi vegetali. Esitono alcuni vitigni molto ricchi di pirazine, sostanze chimiche responsabili dei profumi erbacei e vegetali, come il  Cabernet Franc che si spinge verso bouquet di erba tagliata e peperone verde, in genere meno elegante rispetto a quello del Cabernet Sauvignon.  

 

 

 

 

 

Erbe aromatiche. Un esempio classico, da manuale direi, è quello di un vino ligure che nella tradizione si abbina, non a caso, alle trenette al pesto. Si tratta del Pigato,  un bianco autoctono diffuso principalmente nelle provincie di Imperia e Savona che, oltre ai profumi floreali e fruttati, si caratterizza per le note di salvia e di basilico.

 

 

 

 

 

Profumi minerali. Ecco una classificazione che, all’inizio, mi faceva strabuzzare gli occhi! Profumi di ardesia, idrocarburi, pietra focaia? Ebbene sì, esistono certi vini che sono noti, nel mondo, per le tipiche note minerali. E’ il caso degli Chablis che, grazie ad un terreno ricco di calcare e marne dell’alto Giurassico, inframezzato da fossili marini, si contraddistinguono per le note di gesso e grafite. Durante la degustazione dello Chablis Premier Cru, Montée de Tonnerre, La Chablisienne 2005, infatti, abbiamo rintracciato metanoaromi sulfurei intervallati da mentolo e gesso

 

 

Profumi speziati. Cannella, anice stellato, pepe nero, pepe bianco, vaniglia, la molteplicità delle note speziate non ha davvero confini in certi vini. Il profumo più “facile” da rintracciare è senza dubbio la vaniglia dei vini che hanno fatto barrique, che talvolta può risultare ruffiana ed opulenta. E’ il caso, senza fare nomi, di certi Supertuscan, già “pronti” per il mercato americano… Ci sono, poi, tutta una varietà di spezie che sono rare e che contraddistinguono certi vini dalla personalità sfaccettata. Ricordo, per esempio, un viaggio in Piemonte, presso l’azienda Travaglini, dove il Gattinara DOCG Tre vigne 2004, intervallava alla noce moscata, alla cannella e al cioccolato, dei soffi di cardamomo, una spezia che non si sente spesso nei vini rossi.     

Profumi tostati. Caffè, cioccolato, mandorla e nocciola tostata, sono profumi che ci dicono che il vino ha avuto un’evoluzione importante.  Li ho sentiti nel Barolo Docg Ciabot Mentin Ginestra 2005 di Domenico Clerico dove una leggera nota balsamica, lasciava il posto alla scorza d’arancia e al cioccolato. Il più evoluto goudron, altrimenti detto catrame, l’ho sentito invece in certi vini molto maturi del Piemonte. 

 

 

I profumi animali mi fanno sempre sorridere. L’idea che in un vino si senta la pipì di gatto o la merde de puole, cioè la cacca del pollo, mi fa diventare matta. Eppure, ve l’assicuro, li ho sentiti e nel complesso gioco dei profumi sono assolutamente caratteristici, ma non sgradevoli (a parte qualche rara eccezione).  E’ il caso di certi Sauvignon Blanc, per la pipì di gatto e di certi Pinot Nero, per la merde de puole. Proprio l’altra sera, per esempio, degustando il Pinot Nero di un produttore l’abbiamo sentito distintamente.

 

 

 

 

 

Profumi eterei. Rappresentano la massima evoluzione di un vino, legati a processi chimici che si innescano a causa del lungo affinamento in bottiglia. Si tratta di profumi che ricordano gli smalti per unghie, le vernici e certi solventi. Un esempio su tutti ? Ho sentito nettamente questi profumi durante la degustazione di uno strepitoso Chateau D’Yquem di oltre dieci anni.

Altri profumi. Esistono infine tutta una serie di profumi che non sono classificabili, che emergono dalla nostra memoria e fantasia, e che ci aiutano a descrivere un vino. Burro, panettone, caramella mou, cipria, miele di castagno, tic tac alla menta 🙂 e chi più ne ha, più ne metta.